Oltre lo specchio

Oltre lo specchio - Racconto fantasy di David Fivoli

Non ricordo bene quando iniziò tutto, ma ricordo che gli uomini oltre lo specchio volevano l’oro. E minacciavano guerra, devastazioni e morte, se non li avessimo accontentati. Non che ci credessi troppo, all’inizio; in fondo, pensavamo tutti che una cultura senza magia non sarebbe mai stata un pericolo.

Così mi offrii volontario per andare dall’altra parte, in missione per conto del Re e della Congregazione. Informazioni. Dati. Conoscenza. La conoscenza è potere. La conoscenza è tutto. Non puoi combattere un potenziale nemico se non lo conosci, non puoi trarre vantaggi da un potenziale alleato se non lo conosci: questa era la prima regola che ci avevano insegnato all’Accademia. Partii con il compito di rimanere lì qualche tempo, studiare i costumi di coloro che vivevano oltre lo specchio e capire cosa di loro potesse interessarci. A quel tempo ero uno dei consiglieri della scuola di magia del Controllo della Mente, nonché un abile diplomatico.

Lo specchio si trovava nel Bosco dell’Est, in quella che gli Antichi chiamavano “Radura delle cento querce”. Come ci fosse finito, e perché, nessuno lo sapeva. Era alto circa tre metri, con la struttura portante di legno scuro, intarsiato con simboli misteriosi, incomprensibili anche al più dotto degli studiosi.

Fu subito chiaro che spostarlo da lì non si poteva, neanche con la magia. E presto fu chiaro anche che non era un semplice specchio, ma un portale magico. Bisognava capire dove conducesse, e soprattutto cosa ne sarebbe potuto uscire. I primi esploratori riferirono di un deserto. Un deserto sconfinato, immenso. Sahara, avrei scoperto dopo, si chiamava quel deserto.

Gli esploratori non si allontanavano mai troppo dallo specchio, che si presentava nello stesso identico modo sia nel nostro mondo che nel mondo oltre il portale. Gli esploratori non si allontanavano anche perché avevano imparato a riconoscere le strane esplosioni che sconvolgevano l’aria, e i funghi di fumo che si alzavano nel cielo dopo, quando un vento infuocato alzava tempeste di sabbia che avevano effetti terrificanti: chi veniva colpito da esse tornava ustionato, e moriva dopo pochi giorni tra dolori atroci.

Spossatezza, nausea, diarrea, febbri e allucinazioni erano i sintomi riconoscibili di quello che iniziammo a chiamare il male del mondo oltre lo specchio. Il nome tecnico, scoprii dopo, era avvelenamento acuto da radiazioni

Dopo due mesi, pensavamo tutti che il mondo che c’era oltre lo specchio fosse disabitato, inadatto alla vita. Del resto, lì non funzionava neanche la magia. Il Re e il Consiglio della Congregazione dei Maghi decisero di lasciare nel bosco una piccola guarnigione e di proibire il passaggio verso l’altro mondo. Qualcuno propose di utilizzare il portale per mandare a morire i condannati colpevoli dei reati peggiori, ma la proposta venne respinta, in quanto fu ritenuta una punizione troppo dura.

E così, semplicemente, ci dimenticammo dello specchio. Ce ne dimenticammo per anni.

Poi, un giorno, arrivarono. Arrivarono dentro un carro di ferro. Un carro senza cavalli. Arrivarono e parlarono, trattarono, minacciarono, promisero. Parlavano la nostra stessa lingua, scrivevano con la nostra stessa scrittura. E anche loro non avevano idea di come quello specchio fosse finito nel loro deserto. Erano come noi nell’aspetto, eccetto che per gli occhi: negli occhi avevano una luce diversa. Qualcosa di indefinibile, di malsano, di cattivo.

La nostra magia non funzionava nel loro mondo, come la loro scienza, o tecnologia, non funzionava nel nostro. Perché il nostro pianeta si trova in orbita stretta attorno a una stella a brillamento, ci dissero.

Si accorsero presto che qui erano vulnerabili come dei bambini: non avevano resistenza alcuna alle nostre magie e le loro armi, per quanto terrificanti fossero, potevano essere contrastate in cento modi diversi. Potevamo leggere nelle loro menti, controllarli e ucciderli con relativa facilità. Per noi, però, dall’altra parte dello specchio era anche peggio.

La magia non funzionava, e i nostri guerrieri più forti potevano essere uccisi in un istante da una singola arma da fuoco. E poco importava chi la maneggiasse: poteva essere un vecchio, una donna, persino un fanciullo.

Non rimanevano che i commerci. E così io partii volontario per esplorare quel mondo, dove mi accolsero con mille onori. Oltre il deserto c’erano mari, montagne, boschi, prati. E città immense. Un mondo bellissimo, armonico. Quegli uomini non avevano bisogno di cupole magiche sulle loro città e le loro terre, per contrastare i continui sbalzi di temperatura. Avevano tutto quello che degli uomini potrebbero desiderare.

Ed erano riusciti a distruggerlo.

Noi a loro avevamo molto da dare: sembravano non essere mai sazi di pietre preziose, di oro e di argento. E di un minerale che chiamavano coltan, indispensabile per far funzionare la loro tecnologia. Ma cosa potevano offrirci, in cambio? Il loro cibo era cattivo, insipido, dal sapore strano. I loro vestiti erano orribili e scomodi. La loro tecnologia da noi non funzionava, e tutto ciò che ci proponevano non era nulla che potesse interessarci o che non potessimo ottenere con le arti magiche.

La plastica, poi. Chi potrebbe volere il proprio mondo invaso da oggetti di ogni forma e dimensione che non si deteriorano se non dopo centinaia o migliaia di anni? Solo dei folli. Ci offrirono armi. Ci offrirono droga. Ci dissero che queste erano le cose che più si commerciavano. Ma le loro armi non ci interessavano, che gloria c’è ad uccidere un nemico senza guardarlo negli occhi? La loro droga meno che mai: avevo visto come riduceva chi ne faceva uso.

In quegli anni viaggiai molto tra i due mondi, e riferii più e più volte le mie impressioni al Re e alla Congregazione dei Maghi. Oltre lo specchio vivevano uomini incomprensibili, che sembravano impegnare le loro risorse e la loro intelligenza, non inferiore alla nostra, per distruggere il mondo che abitavano. Soprattutto, non capivo come potessero continuare a lanciare quelle bombe i cui effetti conoscevamo bene. Il deserto che si trovava oltre lo specchio era uno dei tanti luoghi, scoprii, dove venivano fatti quelli che chiamavano test nucleari.

Erano in grado di volare nel cielo, ma la loro terra era ormai velenosa. Avevano conquistato lo spazio, ma nei loro mari non c’erano più pesci da anni. Ammonii il Re e gli altri Consiglieri: c’è qualcosa di strano, di profondamente insano in quegli uomini, spiegai loro. Ma nessuno dava troppo peso alle mie parole; erano così fragili, così deboli, così innocui, quando passavano oltre lo specchio.

Li sentivo parlare di business plan, di colonizzazione, di marketing e di strategie d’assalto. Volevano il nostro oro. Volevano il nostro coltan. E iniziarono a minacciarci. Li sentii parlare di virus. Di una guerra batteriologica che ci avrebbe spazzato via. Potevano mandare attraverso lo specchio malattie terribili a cui non eravamo immunizzati… malattie che non ci avrebbero lasciato scampo. Malattie che, incredibile ma vero, avevano perfezionato e reso mortali essi stessi, nei loro laboratori. Sapevo che non avremmo potuto niente, e spiegai al nostro Re e al Consiglio che non ci rimaneva che commerciare con loro, anche se non avevano nulla che ci interessasse davvero.

Nulla, se non i libri.

E così ho viaggiato con Dante nell’Inferno. Ho tenuto in mano il teschio di Yorick con il principe Hamlet. Ho ucciso e poi sofferto per il mio delitto con Raskol’nikov. E mille e più volte ho vissuto le vite di altri, emozionandomi, piangendo, ridendo, rabbrividendo. Noi non avevamo nulla del genere… oltre lo specchio avevano la Letteratura. Noi mandavamo oro e coltan. Loro ci mandavano libri.

Poi, come era comparso, lo specchio improvvisamente svanì. Semplicemente, svanì. Niente più commerci, niente più oro da inviare, niente più libri da ricevere. Certo, le nostre città ora avevano delle biblioteche, e giovani e anziani facevano ore e ore di fila per prendere un libro. Un libro a caso, un libro qualsiasi. Bastava ci fosse scritta su una storia.

E ora che ogni libro è stato letto e riletto, ora che sono passati anni e anni, ora che sono anziano e malato, ho raggiunto finalmente quello che, da allora, è stato lo scopo della mia vita: ho scritto un romanzo.

Il primo romanzo che sia mai stato scritto in questo mondo, il primo romanzo della nostra cultura. Il primo romanzo della nostra storia.

Ora che non c’è più nulla, oltre lo specchio.

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