Nel cuore della notte più nera, la musica di Lucio Corsi illumina la strada

Articolo su Lucio Corsi dal blog di David Fivoli

Nel cuore della notte più nera della musica italiana si è accesa una luce abbagliante. E questa luce si chiama Lucio Corsi.

Intendiamoci: quando parlo di notte e di buio mi riferisco al dominio mainstream di certe canzoni e di certi cantanti che negli ultimi anni hanno dominato le scene. Potremmo definirla “l’era dei talent”. Quella che ha fatto credere a milioni di persone che ci sia un unico modo per diventare famosi, per farcela: i talent show televisivi. Non più la gavetta sui palchi, imparare a cantare e a suonare uno strumento, confrontarsi con il pubblico, cercare la propria voce artistica. Niente di tutto questo. Per farcela bisogna essere selezionati a un provino di un talent show, avere “la faccia giusta”, il “modo di fare giusto”, “la presenza scenica giusta”. E se non sai suonare nulla, pace… c’è chi lo fa per te. E se non sai neanche cantare, pace… c’è l’autotune. E se sei vuoto come un ovetto di cioccolato uscito dalla fabbrica senza sorpresa, pace… tanto a chi interessa?   

Ecco, milioni di persone hanno creduto per anni che non ci fosse altra scelta, che ogni altra strada fosse preclusa. E intanto c’erano (e ci sono) migliaia e migliaia di artisti, di grandi artisti, che stavano (e stanno) suonando la loro musica su palchi più o meno grandi di palazzetti e club più o meno rinomati, lontani dalle telecamere, dai dissing, dai gossip, dalle pubblicità.

Gente come Vasco Brondi (e il suo progetto Le luci della centrale elettrica), che considero uno dei più grandi cantautori italiani degli ultimi venticinque anni (Per combattere l’acne, Una guerra fredda, Le petroliere, Per respingerti in mare… se vi piace Lucio Corsi e non conoscete queste canzoni, regalatevi qualche minuto per ascoltarle). Certi artisti non sono outsider, non sono alieni, non sono folletti spuntati sotto un fungo al limitare del bosco. Sono il Cantautorato italiano, quello con la C maiuscola.

Il problema è che il cantautorato italiano non lo conosceva, e riconosceva, quasi più nessuno. Perché sul grande pubblico era calata la notte; una notte buia e nera che sembrava senza fine.  Poi, come un lampo vomitato dal cielo, a squarciare la notte è arrivato questo ragazzo maremmano.      

Lucio Corsi non è un outsider. Non era conosciuto dal pubblico mainstream, ok, ma fa musica da oltre un decennio. E nell’ultimo periodo ha lavorato con Verdone, che recita in un suo video (Tu sei il mattino, mentre Ceccarini e Pieraccioni sono nel video Volevo essere un duro). È stato anche ospite di Fiorello, e di Massini. E di tanti altri. Insomma, non essere conosciuto da milioni di italiani non vuol dire essere un perfetto sconosciuto, un “non professionista”. Tutt’altro.

Personalmente, credo che sia proprio questa la forza dirompente di Corsi, quello che ha fatto innamorare di lui milioni di italiani, me compreso: non è un tizio finito sul palco musicale più importante d’Italia per caso, per una botta di culo o per avere i manager giusti, uno che non sa suonare uno strumento che sia uno e che per cantare ha bisogno di autotune  (come tanti prodotti dei talent); no, Lucio Corsi è un cantautore polistrumentista. Uno che fa musica sul serio, che sta sui palchi da anni. E si vede. Uno che, a dispetto del suo meraviglioso brano, musicalmente è più duro del 90% degli inutili (musicalmente, s’intende) ragazzetti rap-trap-pop catapultati alle luci della ribalta da giovanissimi, che da duri si atteggiano con versi, vestiti e modi, ma che di cosa voglia dire essere fischiati per tutta una sera quando si suona la propria musica mentre si apre a un artista più famoso di te… be’, non sanno proprio nulla. E se gli dovesse accadere sarebbero lacrime, antidepressivi e ospitate piagnucolose in televisione, abituati come sono a vivere nel loro mondo irreale, più finto di una moneta da 7 euro.

Lucio Corsi quei fischi li ha subiti, li ha vissuti sulla propria pelle, come tanti cantautori, come tanti musicisti veri. Ci si è fatto le ossa, in questo modo. Ci si è forgiato l’anima e la personalità. E per questo è dieci volte più duro di tutti questi pseudo-cantanti messi assieme. E basta con la storia della sua fragilità: presentarsi sul palco di Sanremo con i propri vestiti, con le proprie convinzioni artistiche e con la propria idea di musica senza scendere a compromessi non vuol dire essere fragili, vuol dire essere “spiritualmente punk-rock”, vuol dire essere dei veri artisti. Non si deve confondere la fragilità con la gentilezza; non si deve confondere l’essere una “bella persona”, una persona vera e non artefatta, di plastica, con la debolezza.

Non ho visto né fragilità né debolezza in una sola parola delle tante interviste che Corsi ha rilasciato in questi giorni. Gentilezza, educazione, maturità, intelligenza. Consapevolezza, semmai. E tanta, tanta poesia e fantasia artistica. Ma debolezza e fragilità no, quelle le vedo negli altri.

La grande lezione di Corsi è proprio questa: si può essere dei grandi artisti rimanendo se stessi; anzi, forse è il solo modo per esserlo. Di più, non è neanche una lezione originale: è sempre stato così. Solo, sembravamo essercelo dimenticato. E il suo grande merito è quello di avercelo ricordato, non essendo altro che se stesso, senza compromessi, e non è un caso che il suo brano termini proprio con queste parole:  «Non sono altro che Lucio».

La canzone più bella di Lucio Corsi, a mio avviso, è una ballata da pianoforte che dura oltre sei minuti. Sei minuti. Debolezza? Fragilità? Ma avete idea di quanto si debba essere cazzuti e straordinariamente sicuri delle proprie idee per proporre, oggi, una ballata al piano di oltre sei minuti? Una roba che qualunque “esperto del settore” ti direbbe: «Tu sei matto, nessuna radio te la manderà mai, una roba di sei minuti!».

In un modo standardizzato di canzoni mainstream tutte uguali, tutte più o meno ugualmente brutte e inutili, proporre qualcosa del genere è da matti. Lui, però, lo ha fatto. Questo brano – che è un capolavoro, poesia pura che emoziona e fa rabbrividire, per quanto è bello – ha raggiunto quasi il mezzo milione di visualizzazioni sul tubo, mentre scrivo. Si intitola Nel cuore della notte, e chiuderà il nuovo album, in uscita il 21 marzo… il primo giorno di primavera.

Qui il link al brano.

Al di là della sua bellezza lucente, mi hanno colpito molto i commenti che ci sono a corredo. È da lì che si deve partire per capire il “fenomeno Lucio Corsi”. Ne riporto alcuni.   

Pura poesia che tocca l’anima nel profondo

Che brividi di emozione! Grazie Lucio per essere un Artista Vero

Si è riaccesa una speranza sul futuro del mondo

59 anni, sono almeno al dodicesimo passaggio di questo brano, non aggiungo altro

Si può ancora piangere per una canzone

È una canzone meravigliosa… ho il cuore in tumulto, grazie!

Straordinario, fantastico, unico, commovente

Sembra impossibile… grazie

… finalmente la luce in fondo al tunnel, grazie Lucio

I miracoli esistono ancora

Abbiamo bisogno di Lucio Corsi, abbiamo bisogno di arte vera. Finalmente! C’è speranza in questo mondo…

Avevo bisogno di te nella mia vita. Sei un poeta straordinario. Dopo anni, ricomincio a comprare dischi finalmente, grazie grazie grazie

Dopo tanta musica trash ascoltare Lucio è qualcosa di socialmente liberatorio

Io sono senza parole…

1400 commenti, tutti più o meno di questo tenore. Ma quelli che mi hanno colpito maggiormente sono i tanti commenti di gente di sessanta, settant’anni. Gente che aveva perso la speranza di tornare a scoprire, ad ascoltare un bravo cantautore e che quella speranza l’ha ritrovata. Come una luce nel cuore della notte, appunto.

Ripeto: non è che in Italia il cantautorato fosse morto, nel frattempo. Ma siamo realisti e svestiamoci dello snobismo proprio del tipo umano “sommelier musicale intriso di intellettualismo spicciolo”. Nessuno può e deve pretendere che un settantenne (ma anche un trentenne, se è per questo) abbia come interesse principale della propria vita la scoperta del cantautorato italiano nei localini dove si suona dal vivo. Per la maggior parte delle persone la musica non si “capisce”, si “subisce”, piaccia o meno. Si subisce dalle radio, dalla tele, dalle pubblicità. E se per lustri e lustri qualcuno, per compiacere un pubblico pagante di bimbiminkia decerebrati, ha pensato che fosse giusto far subire a un’intera nazione le boiate scritte da cantautori falliti e interpretate da questi pseudo cantanti usciti da talent vomitevoli. Be’, qual qualcuno si sbagliava. Magari ci avrà fatto cassa, ma si sbagliava. E questo Sanremo ne è stata la prova provata.

La musica è bellezza, la musica è vita. E non puoi togliere a un popolo la bellezza e la vita per sempre. Un po’ come le dittature: possono durare anni, anche un ventennio intero a volte, ma prima o poi arriva qualcuno a liberarti.

Per milioni di italiani, la scoperta della musica di Lucio Corsi è stata proprio questo: una liberazione. Un segnale di speranza, un riscoprire la bellezza della musica. Un concetto tanto banale quanto vero.       

Sì, la musica di Lucio Corsi è proprio questo. La musica di Lucio Corsi è un raggio di luce nella notte, un simbolo di speranza. Già, perché anche nel cuore della notte più nera può apparire una luce, a ricordarci tante cose.

Che ogni notte finisce, prima o poi.

Che canzoni moderne possono emozionare ancora.

Che l’auto non ha preso il gatto… e il camion è tornato a casa.

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