
Il vecchio barbone e la rockstar
I bagni della stazione di Milano erano deserti; C’era solo un vecchio barbone, steso a terra.
L’uomo si sentiva male: il cuore gli batteva forte, le gambe non reggevano più, la testa stava impazzendo. Strisciò per mezzo metro e riuscì a sedersi con la schiena poggiata alla porta di un bagno. Poi, prese a piangere e a singhiozzare come un bambino. Urlò, provò a chiedere aiuto. Ma fuori da quel bar c’era Micheal Glen. La rockstar del momento stava firmando autografi, e tutti erano corsi lì, per vederlo.
Il vecchio stringeva con mani tremanti il ritaglio della pagina di un quotidiano di qualche giorno prima e un foglio stropicciato. Sul giornale erano cerchiate a matita alcune righe di un’intervista alla rockstar.
«Micheal, innanzi tutto lasciati dire che siamo tutti felicissimi: finalmente ti esibirai in Italia: era ora! Parliamo di te e del tuo straordinario successo: nel giro di due anni hai avuto tutto quello che un uomo può volere dalla vita, e oggi sei la rockstar più acclamata del momento.»
«Così si dice.»
«Gira voce che hai comprato un castello nei dintorni di Edimburgo.»
«Sì, è vero. Mi sono sempre piaciuti i castelli. E ora posso addirittura permettermene uno. Devo dire che sta andando tutto benissimo.»
«Milioni di ragazzi e ragazze ti acclamano come un profeta, ti idolatrano come un Dio. Si strappano i capelli per te sotto il palco. Bellezza, carisma magnetico, empatia. Tutti ti vogliono. Tutti ti cercano. Successo, denaro, donne… come il titolo del tuo singolo del momento: Essere una rockstar. Non trovi che tutto questo sia eccessivo?»
«No, non lo trovo eccessivo. Se sei una rockstar, il limite è oltre lo straordinario.»
Il vecchio strappò quel ritaglio, mentre piangeva e singhiozzava. Aveva la nausea, e il cuore gli batteva sempre più forte. Guardò il foglio stropicciato, piegato in due. Una lettera, scritta a mano. Sopra vi si leggeva: A Micheal, da Duncan
Cinque minuti prima
Il bar della stazione di Milano era affollato. Si era messo in fila al bancone e aspettava il suo caffè. Espresso italiano, il migliore al mondo.
Felpa con cappuccio e occhiali scuri, come sempre. Controllò il cellulare. Annika lo aspettava in albergo. Non si vedevano da una settimana e quella sera si sarebbe divertito con la sua donna. Gli scrisse: «Tra poco sono da te amore» seguito da un paio di cuoricini. Poi controllò gli aggiornamenti di WhatsApp. Le groupies che si era fatto quella notte gli avevano mandato delle foto. C’erano tutte e tre. Giovanissime e bellissime. Nude. «Quando vuoi, siamo a tua disposizione» c’era scritto sotto, seguito da diverse faccine colorate.
Micheal era felice. Ripensò alle parole della giornalista della radio italiana che lo aveva intervistato qualche giorno prima: sì, aveva tutto quello che un uomo può volere dalla vita. Si guardò attorno. Era quasi il momento. Sentiva decine di occhi puntati su di lui, di lì a poco lo avrebbero riconosciuto. E questo lo eccitava, come sempre.
Gli piaceva quel gioco che metteva su quasi ogni volta. Mescolarsi tra la gente comune. Farsi riconoscere. Urla e adrenalina. Adorazione.
Lui avrebbe sorriso e firmato autografi, fino a che non fossero arrivate le forze dell’ordine a riportare la calma. Poi lo avrebbero scortato allo stadio, per il concerto. Perché lui era la più grande rockstar di tutti i tempi.
Sì, era felice. Felice come non era mai stato.
Poi quel tizio lo aveva urtato borbottando qualche parola di scusa. Un vecchio barbone, malmesso, sudato. Indossava un cappotto sgualcito e dei guanti neri sdruciti, di quelli che lasciano scoperte le dita. Gli erano caduti in terra un foglio e una penna.
Micheal Capì. Incredibile che a riconoscerlo in mezzo a tutta quella gente fosse stato un barbone. Questa l’avrebbe raccontata il giorno dopo, durante le interviste. Magari avrebbe anche detto che al suo prossimo concerto i senzatetto sarebbero entrati gratis.
Perché no? Pubblicità. Successo. Fama. Gloria. Lui riusciva a trasformare in oro qualunque cosa. Pensò ancora alla sua ultima intervista. Carisma magnetico. Empatia. Sì, era tutto vero. Era una rockstar, e sarebbe diventato una leggenda.
Raccolse il foglio e la penna, si levò occhiali e cappuccio e sorrise al vecchio barbone, chiedendogli a chi dovesse dedicare l’autografo. Lo chiese a voce alta, per farsi sentire. Era l’ora di essere adorato. Anche il vecchio sorrise. Sì, era davvero malmesso. Malato, probabilmente. E maleodorante.
Biascicò: «A Duncan» da una bocca a cui mancava più di qualche dente. Micheal scrisse l’autografo e lo porse al vecchio, mentre intorno a lui sentiva bisbigli diventare prima parole incerte, poi urla e grida eccitate.
«Ma… ma è Micheal Glen, quello?»
«Figa ragazzi, quello è Micheal Glen!»
«Micheal Glen, è proprio lui! Incredibile, c’è Micheal Glen…»
Il vecchio barbone lo ringraziò stringendogli debolmente una mano ossuta e tremante.
Un flash.
Uno strappo.
Un dolore.
Nel corpo e nell’anima.
La rockstar rovinò sul pavimento. Pochi secondi appena e sentì ancora le voci urlare.
«Micheal Glen sta uscendo fuori.»
«Micheal! Dio quant’è bello.»
«Guardate… è salito sul tavolo e si lascia fotografare, e firma autografi.»
Ma lui era lì, a terra, intontito. E la gente urlava e correva fuori dal bar. Cosa stava succedendo? Si sentiva debole e confuso. Riuscì ad alzarsi a fatica in mezzo a quella confusione. Entrò nel bagno, ancora poco lucido. Vedeva poco e male, aveva una sensazione strana. Nel bagno cercò uno specchio. Ci mise un interminabile minuto a rimettere a fuoco. Ma nello specchio non vide il suo volto. Vide quello del vecchio barbone. Il volto di Duncan.
Urlò. Si toccò, pianse. Avrebbe voluto parlare con qualcuno, chiedere cosa stesse succedendo, ma era solo. Erano corsi tutti fuori. Decise di uscire e di affrontarsi, si mise le mani nelle tasche del cappotto per vedere se per caso ci fosse un’arma, o qualunque cosa. Trovò solo il ritaglio della pagina di un quotidiano con l’intervista. E un foglio stropicciato.
Addio, Uomo
Dopo aver strappato il ritaglio di giornale Micheal lesse la lettera. La lesse diverse volte, ancora e ancora, impazzendo di dolore e paura. Morì qualche minuto dopo, tra le lacrime.
Quando lo trovarono la stringeva ancora tra le mani, ma nessuno si prese la briga di leggerla: era solo un pezzo di carta tra le mani di un vecchio barbone morto.
Ma se qualcuno lo avesse fatto, avrebbe letto le seguenti parole.
“Terra senza tempo, tempo senza fine. Ho visto ogni angolo del mondo. Ho accumulato ricchezze infinite. E le ho sperperate. Ho avuto ogni donna. E ogni uomo. Ho visto morire chi ho amato innumerevoli volte, fino a far morire la mia voglia di amare.
Migliaia di anni fa ho giocato con demoni e forze superiori al destino degli uomini. E ho vinto. Magra vittoria per alcuni, scopo di una vita per altri.
Campi di grano irrigati con il sangue; piramidi capovolte; triremi pitagoriche affondate in oceani di superstizioni.
Io li ho visti, uomo.
Bambini capaci di spiegarti la morte; rivoluzioni di poteri e pianeti, inconcludenti come i nomi di personaggi mai nati nella mente di scrittori mai morti; violini suonati da diavoli che accompagnavano pianoforti suonati da angeli.
Io li ho visti, uomo.
L’alba sull’Everest, a urlare insulti agli dei dal tetto del mondo; il tramonto su una zattera nell’oceano a invocare il perdono delle stelle. Balaklava, Stalingrado, Hiroshima.
Io li ho visti, uomo.
Aurore boreali, tempeste magnetiche, foreste vergini, vascelli fantasma, spettri secolari e deserti di pietra e ossa umane.
Io li ho visti, uomo.
Tutto questo ho visto uomo, perché la mia anima è immortale. Un corpo. Ho solo bisogno di un corpo. Il mio, il primo, l’originale, l’ho scordato. Da millenni oramai.
Sono stato uno dei Faraoni uomo, e poi uno dei Cesari. E ancora sono stato guerrieri, profeti, principi e papi. Ma anche contadini, pescatori, bambini, puttane e idioti. Filosofi e compositori. Dittatori e schiavi.
Tutto questo e altro ancora io sono stato, uomo.
Sono stato il primo a viaggiare nello spazio e l’ultimo a calpestare la Luna, uomo. Sono stato regine e imperatrici, e ho cambiato a volte corpo con i miei amanti nel corso dello stesso amplesso.
E poi li ho uccisi, uomo.
Ho fatto impazzire migliaia di anime, ho spezzato migliaia di vite. E ora mi prendo la tua, uomo. La guardo da un po’ la tua vita, e una rockstar non lo sono mai stato. Stanotte farò l’amore con la tua donna uomo, e forse un giorno la ucciderò. Quando mi sarò annoiato di essere te.
Voglio che tu lo sappia, uomo. Ti lascio questo corpo, il corpo di un vecchio barbone che ho trovato per strada. L’ho avvelenato, uomo, prima di entrare nel bar. Ti rimangono pochi minuti di vita, e voglio che tu sappia anche questo.
Addio, uomo.”